Museo di Storia Naturale di Venezia

Museo di Storia Naturale di Venezia Giancarlo Ligabue

Tesi di laurea in archeozoologia

Botteghino (PR)

Analisi archeozoologica dei reperti faunistici provenienti dal sito
del Neolitico recente del Botteghino (Parma)

Claudio Berto

Università Ca’ Foscari Venezia – Facoltà di Lettere e filosofia
Dipartimento di Scienze dell’antichità e del Vicino Oriente
Corso di laurea triennale in Conservazione dei Beni Culturali

Relatore: Prof. Mauro Bon
Correlatori: Prof. Paolo Biagi – Dott.ssa Silvia Zampieri
Anno accademico 2005-2006

Riassunto

L’obiettivo della tesi di laurea è stato quello di determinare la fauna proveniente dal sito in oggetto, attribuito al Neolitico recente, l’interpretazione paleoecologica, paleoclimatica e paleoeconomica da essa rilevabile.

I punti sviluppati sono:
­- la determinazione delle specie presenti
­- i rapporti quantitativi tra specie domestiche e selvatiche
­- la determinazione di taglia, sesso ed età di morte
­- le tecniche di macellazione applicate
­- l’ambiente naturale in cui era inserito il sito

La composizione del campione faunistico proveniente da Botteghino attesta la presenza di specie domestiche e di una sola specie selvatica. La natura dei resti è presumibilmente di origine alimentare: questi rappresentano scarti di macellazione o avanzi di cibo, l’ipotesi è avallata dalla presenza di tracce di macellazione e di combustione riscontrate su alcuni reperti.
I dati ricavati dallo studio della fauna consentono di formulare ipotesi sul tipo di economia praticata nel sito.
In base agli elementi a disposizione risulta che i caprovini erano la specie più allevata (58,1% del NMI complessivo) almeno nei contesti dello scavo più importanti. Gli individui erano abbattuti in età adulta e di conseguenza si può ipotizzare che fossero utilizzati soprattutto per la produzione secondaria di lana, latte e derivati.
Nel campione analizzato il maiale ricopre un ruolo importante, se si pensa alla produzione carnea: infatti risulta essere la seconda specie allevata. Le dimensioni piuttosto robuste di alcuni individui sono comparabili con quelle del cinghiale, specie oggetto di caccia in altri contesti neolitici. Tuttavia il campione ridotto non consente di confermare questa ipotesi. Le taglie maggiori della forma domestica possono trovare una spiegazione con la teoria dell’allevamento allo stato brado che permetteva l’ibridazione con la forma selvatica.
La terza specie domestica in termini numerici è rappresentata dai bovini, che nella stima del numero minimo degli individui complessivo costituiscono il 18,6% delle specie determinate. In genere i bovini di Botteghino venivano macellati in età adulta, pur essendo attestati esemplari abbattuti in età giovanile i cui resti provengono soprattutto dal canale. Ciò fa ipotizzare che anche questa specie fosse sfruttata prevalentemente per lo sfruttamento della forza lavoro e per la produzione secondaria.
L’unica specie selvatica rinvenuta in tutto il sito è il cervo che presumibilmente non rappresentava un elemento importante nell’economia della comunità neolitica del sito; infatti solo pochi frammenti appartengono a questa specie, molti dei quali sono resti di palchi, resti non sono ascrivibili allo sfruttamento alimentare diretto, bensì ad un utilizzo per produzione di strumenti artigianali.
La presenza del cervo, unito al tipo di economia deducibile dall’analisi della componente domestica, fornisce indicazioni generali sull’ambiente circostante il deposito. Il paesaggio doveva presentarsi coperto da boschi maturi, formati dalle essenze tipiche del querceto misto (querce, frassini, carpini, ecc.), con zone di sottobosco più o meno fitto, ambiente favorevole all’allevamento brado del maiale, dove vivevano anche cervi e presumibilmente cinghiali. Le aree boschive erano probabilmente interrotte da radure, aperte dall’uomo per fare spazio alle coltivazioni e all’allevamento di bovini e caprovini.
In generale il sito di Botteghino rientra piuttosto bene nel quadro economico-ambientale emerso dall’analisi di altri depositi archeologici dell’Italia settentrionale; in particolare presenta analogie con i siti limitrofi di Travo e Spilamberto, e con quelli oltre Po di Rivarolo Mantovano e Belforte di Gazzuolo anche se si sono riscontrate differenze sostanziali di taglia e robustezza dei suini; tuttavia questo dato non può essere verificato con certezza a causa della notevole frammentarietà e fragilità del campione osteologico esaminato.

Contatti: claudio.berto@unife.it