Museo di Storia Naturale di Venezia

Museo di Storia Naturale di Venezia Giancarlo Ligabue

Tesi di laurea in archeozoologia

Ostiano e Campo Ceresole (CR)

I pozzetti neolitici di Ostiano e Campo Ceresole (CR)
Marco Bertolini

Università Ca’ Foscari Venezia – Facoltà di Lettere e Filosofia
Dipartimento di Scienze dell’Antichità e del Vicino Oriente
Corso di laurea triennale in Conservazione dei Beni Culturali

Relatore: Prof. Mauro Bon
Correlatori: Prof. Paolo Biagi – Dott.ssa Silvia Zampieri
Anno accademico 2005-2006

Riassunto

I reperti osteologici oggetto di questo studio provengono da due siti neolitici rinvenuti rispettivamente nei comuni di Ostiano, località di Dugali Alti, e di Piadena, località Campo Ceresole.
Gli obbiettivi di questa tesi sono la revisione della determinazione delle faune, effettuata da G.W.W. Barker, l’interpretazione paleoecologica e paleoeconomica da essa rilevabile.

I punti sviluppati sono:
– l’inquadramento generale dei siti;
– l’esposizione dei risultati precedenti;
– la determinazione delle specie presenti;
– la determinazione del NMI ed età di morte;
– l’interpretazione dei dati ottenuti dalla revisione.

Il campione proveniente dal pozzetto neolitico di Ostiano-Dugali Alti è costituito da un numero esiguo di resti osteologici di animali domestici e selvatici. Le specie selvatiche – cervo, capriolo e cinghiale – si inseriscono bene nel quadro ambientale locale del periodo Atlantico.
L’area in cui era ubicato il sito doveva presentarsi coperta da boschi di querceto misto (querce, frassini, carpini, ecc.), con zone di sottobosco più o meno fitto. Le aree boschive erano probabilmente interrotte da radure, aperte a poco a poco dall’uomo per fare spazio alle prime coltivazioni. Noccioli e varie specie di pomoidee offrivano la possibilità di raccogliere frutti spontanei. È inoltre documentata la raccolta di bivalvi d’acqua dolce.
I dati consentono di formulare ipotesi riguardo l’economia del sito: la caccia doveva costituire la fonte principale di approvvigionamento di carne; infatti il 56% dei frammenti identificati è stato attribuito al cervo, generalmente abbattuto in età adulta o sub-adulta. Il capriolo doveva essere cacciato in maniera più sporadica a causa del suo comportamento solitario e della taglia ridotta che non consente il recupero di grossi quantitativi di carne.
L’allevamento di bovini, suini e caprovini sembra costituire una pratica secondaria nella sussistenza della comunità di Ostiano. I resti identificati per queste tre specie sono infatti molto pochi: quelli appartenenti al maiale sono di grandi dimensioni e quasi certamente attribuibili al cinghiale, anche se non è da scartare l’ipotesi dell’allevamento allo stato brado che giustificherebbe la robustezza dei materiali identificati conseguente all’ibridazione con individui selvatici.
I risultati, in sostanza, sono paragonabili a quelli già esposti da BARKER (1983), nonostante la conservazione del materiale sia notevolmente peggiorata con conseguente perdita di dati, in questo caso parziale, e tale da non falsare il quadro faunistico del sito in questione.
La revisione del materiale di Campo Ceresole porta a risultati opposti a quelli ottenuti da BARKER.
Il bue costituisce la specie più abbondante con il 31% di frammenti identificati e quindi doveva ricoprire un ruolo primario nell’economia del sito di Campo Ceresole. Il fatto che siano stati riconosciuti sia individui adulti sia giovani fa supporre che questa specie venisse utilizzata anche per altri scopi, quali lo sfruttamento della forza lavoro e la produzione di latte e derivati.
Il maiale costituisce la seconda specie nel sito (26% di frammenti identificati) presente con resti di individui giovani e adulti, in genere macellati intorno ai 2 anni di età. Sebbene i resti siano molto frammentati si nota che questi sono robusti e probabilmente attribuibili, anche in questo caso, al cinghiale.
Il terzo gruppo per numero di frammenti è costituito dai caprovini (21% di frammenti identificati), più che per la macellazione è probabile fossero utilizzati per il recupero di altri beni quali la lana e il latte.
Cervo e capriolo costituiscono gli ultimi due gruppi, rispettivamente con il 16% e il 6% dei frammenti identificati, la caccia doveva dunque avere un ruolo integrante nell’economia di sussistenza del sito.
E’ testimoniata anche la raccolta di bivalvi d’acqua dolce e della testuggine.
Le conclusioni a cui si è giunti in questo caso sono quindi opposte a quelle ottenute da Barker, infatti la presenza di fauna domestica sembrerebbe essere più consistente rispetto agli animali selvatici. Questi risultati sono tuttavia falsati dalla mancanza di una notevole quantità di materiale osteologico proveniente da diversi pozzetti. Se questo non si fosse verificato il quadro sarebbe stato probabilmente molto diverso: infatti da quanto è stato pubblicato in due pozzetti vi era un consistente numero di frammenti attribuiti al cervo e al capriolo, animali che in questo studio risultano con un numero di reperti inferiore rispetto alle specie domestiche.
In conclusione risulta necessario sottolineare l’importanza dei metodi di raccolta, restauro e conservazione dei materiali archeozoologici. Nel caso specifico è probabile che il materiale di Campo Ceresole sia stato raccolto in modo sommario, sia stato analizzato senza le adeguate operazione di pulizia e consolidamento. Infine i materiali sono stati chiusi in sacchetti di nylon senza imballo, solo così è spiegabile il livello di elevata frammentazione, avvenuta chiaramente dopo la raccolta.
Anche il mancato consolidamento era necessario viste le pessime condizioni osservate in giacitura, causate dai processi post-deposizionali. Difficile, se non impossibile, risulta invece spiegare come sia scomparso parte del materiale studiato. Si sottolinea che solo con queste specifiche procedure e attenzioni qualsiasi tipologia di reperti può essere tramandata negli anni ed analizzata da altri specialisti nel corso del tempo. La possibilità di accedere a materiali già studiati, per poter confermare le ipotesi precedenti o svilupparne nuove, è alla base di una corretta metodologia di ricerca scientifica.

Contatti: marco.bertolini@unife.it